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L’EDITORIALE DI ROBERTO GENTILE

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CHI VA E CHI VIENE

IL NETWORK DEL MESE

L’AGENZIA DEL MESE

Italia it logo qA volte ritornano. Il 27 giugno 2022 il Ministero del Turismo ha rilasciato una nuova versione del portale Italia.it, che pensavamo definitivamente defunto: invece sopravvive indomito. Ecco un breve riassunto della sua storia (su Wikipedia c'è tutta) e tre motivi per smettere di buttarci un sacco di soldi (nostri). Anche se nel frattempo il governo Draghi è caduto e quindi il ministro Garavaglia tra un paio di mesi sarà un ex.

Dopo quasi 20 anni, Italia.it si appresta all’ennesima resurrezione. Il portale (allora si chiamavano così) del turismo italiano fu voluto dal governo Berlusconi III nel 2004, ministro Lucio Stanca, e fu lanciato nel 2007 dall’allora ministro Francesco Rutelli con il celeberrimo maccheronico inglese "Pliiz, visit de uebsait bat pliiz visit itali", meritevole di gloria imperitura insieme al geniale logo a forma di cetriolo. Portale presto chiuso, poi riaperto, poi chiuso di nuovo nel 2014 per essere sostituito da una versione meno costosa, verybello.it, destinato a soccombere pure quello, perché i programmatori non venivano pagati. Tra alterne vicende e costi incalcolabili (c’è che dice 22 milioni di euro, chi il doppio, non lo sapremo mai), oggi Italia.it riceve un’iniezione di denaro senza precedenti: il  progetto "Digital tourism hub", nell’ambito dei fondi gestiti dal PNRR Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, stanzia 114 milioni di euro per rinnovare il sito, che già adesso (come dichiara con “entusiasmo nerd” il Ministero stesso) “è stato rilasciato su una piattaforma di marketing technology all’avanguardia, data-driven ed omni-canale, la quale, attraverso l’architettura cloud, garantisce iper-scalabilità e predispone l’interoperabilità del TDH con il mondo esterno”. Io non ci ho capito nulla, ma questa roba deve costare un sacco di soldi.

Ecco tre motivi per i quali Italia.it sarebbe da chiudere adesso ed evitare di iniettarci ancora del denaro. Ma tanto non mi darà retta nessuno.

1. Il concetto di portale del turismo italiano è vecchio e superato. Nel 2004 il browser di riferimento era ancora Netscape, Facebook era stata appena fondata e i social non esistevano. L’italiana Virgilio.it era una web directory, cioè un elenco di siti (non classificati per tag) suddivisi in maniera gerarchica e raccolti in categorie e sotto-categorie tematiche: una sorta di Pagine Gialle on line. Il portalone turistico aveva lo stesso scopo: mettere un po’ d’ordine nella sconfinata offerta turistica italiana, che allora si stava affacciando sul web. Che senso ha, vent’anni dopo, un affare del genere? Chiunque abbia uno smartphone - smanettando su Google, Facebook o Booking - di Italia.it se ne frega altamente.

2. Italia.it è un sito anonimo e basico, senza fantasia e senza innovazione. Disponibile solo in italiano, inglese e spagnolo (tedesco no? peccato, è il primo mercato incoming che abbiamo); con pochi e scontati contenuti (una settantina le “cose da fare” a Venezia, una quarantina in tutto il Veneto, e la regione è ampiamente la prima in Italia per presenze); in home-page si promuovono Lecce e la maratona di Venezia, Bolzano e pure la web radio, cioè “la colonna sonora delle tue esperienze” (!).  Beh, dopo che Lecce e Bolzano ti hanno incuriosito, puoi prenotare qualcosa? No. Se l’elenco dei 60 siti Unesco ti ha ingolosito, puoi chiedere a qualcuno di organizzare un minitour? No. Sei indeciso tra quale dei 98 borghi italiani sia quello più adatto alle tue aspettative e vorresti leggere l’opinione di un blogger o di un influencer, puoi? No. Social? Manco a parlarne, nel 2004 non c’erano.

3. I contenuti li metterà (a pagamento) qualcun altro. Sempre a giugno 2022, il  Ministero del Turismo pubblica“un avviso destinato alla raccolta di adesioni da parte di soggetti ed operatori economici privati interessati alla stipula di accordi di collaborazione per la fornitura, attraverso interconnessione con la piattaforma TDH, di contenuti editoriali e/o redazionali verso il Portale italia.it”. Siete interessati e volete pure i dettagli? Ecco il link. Tradotto: visto che noi del Ministero (pure con l’aiuto di Enit) da soli non ce la facciamo, vediamo se i privati - che sono più bravi e magari quei contenuti ce li hanno già - sono disposti a darceli, in cambio di soldi. Ne consegue che se il Trentino - faccio un esempio a caso - ha un canale YouTube strabiliante e centinaia di video, può promuoversi su Italia.it. Se la Val d’Aosta - altro esempio a caso - quella collezione non ce l’ha, beh, non se fa nulla.

Conclusione: non è che Paesi concorrenti del nostro (Germania, Francia e Olanda per dire) facciano cose strabilianti on line. Ma così com’è messo adesso, Italia.it lo sa fare anche mio cugino smanettone, e non costa 114 milioni di euro.

P.S. Non ci dormito una notte, a proposito dell’interoperabilità del TDH con il mondo esterno.

 

suite manager qsuite travel logo qQuando i network in Italia raggiungevano la cifra monstre di 121 (era il marzo 2010) e le agenzie di viaggi erano 12.000, Giada Marabotto di Genova e Antonella Ruperto di Roma erano due giovani imprenditrici che avevano deciso di scommettere sul turismo. Una dozzina di anni e una pandemia dopo, quando i network importanti si contano sulle dita di una mano, Giada e Antonella sono a capo di Suite Travel, primo network di agenzie in co-branding presente attualmente in due punti vendita COIN a Roma e Napoli.

“Suite Travel è una realtà diversa rispetto alle reti oggi presenti in Italia” puntualizza Giada “Abbiamo punti di contatto con altre modalità di lavoro, ma desideriamo mantenere saldo il co-branding, che è il cuore della nostra idea imprenditoriale: prevediamo di presidiare tutti, o quasi, i negozi COIN in Italia, in formula corner fisso oppure temporary pop up. Il bilancio è positivo, alla luce del periodo nero per il turismo in cui abbiamo lanciato il progetto (fine 2021): chiudiamo il primo semestre 2022 con numeri incoraggianti e i nostri due corner, praticamente dei “pilota”, ci hanno riservato una sorpresa: davamo per scontato un cospicuo passaggio fisico “mordi e fuggi” (siamo nel cuore di un superstore), invece le persone che si fermano sono meno di quanto previsto, ma amano trattenersi e parlare in maniera approfondita del viaggio, come farebbero in una normale agenzia. E in più riceviamo moltissimi contatti via mail, con pratiche vendute dal nostro booking. COIN non detiene un’esclusiva, ma ci ha aperto la strada, firmeremo a breve un contratto con un noto brand internazionale”.

“Suite Travel è un marchio di Seven Srl società benefit, la società che abbiamo costituito ad hoc” racconta Antonella “Società benefit significa che desideriamo avere un impatto sociale positivo: il viaggio per sua natura altera l’ambiente, quindi pensiamo a una sostenibilità sociale e di valori, e a promuovere la cultura del viaggio come scoperta, a contatto con tradizioni e usi locali. Io e Giada siamo socie al 50% e Seven, fino a oggi, è stata interamente autofinanziata. In attesa di conoscere l’esito di alcuni bandi a cui abbiamo partecipato (in modo da acquisire risorse utili allo sviluppo), stiamo valutando l’opportunità di inserire alcuni investitori interessati alla nostra idea imprenditoriale”.

I corner sono affidati ai “consulenti Suite Travel”, agenti di viaggi con esperienza, che operano come liberi professionisti legati da un contratto di collaborazione con Seven Srl: “Siamo orgogliose di aver creato da zero una piccola rete, in un momento di crisi nera per il turismo e senza grandi risorse, se non il nostro entusiasmo” rivelano le socie “Vedere le centinaia di pratiche vendute e aver messo a punto alcune procedure standardizzate di prenotazione, in così poco tempo, ci rende orgogliose. I punti su cui lavorare sono onestamente ancora molti, dobbiamo crescere come numero consulenti, come valore medio pratica e come marginalità, ma abbiamo margini. E tanta buona volontà".

 

blu mangia combined qNon è andata come speravamo, l’estate 2022 non sarà quella della piena ripresa: dovremo attendere ancora un po’. Però, visto che tra qualche settimana apriranno le vendite, tanto vale occuparci di quella che sarà la destinazione regina dell’estate: il Mare Italia.

Nessuno dubita, infatti, che saranno gli 8.000 chilometri di coste italiane ad accogliere la stragrande maggioranza dei vacanzieri. A proposito di estate 2022, ecco qualche domanda e, già che ci sono, pure le risposte.

Domanda: Gli italiani andranno all’estero? In tanti o in pochi? Risposta: Ci andranno, ma in pochi. Prendiamo un dato recente, quello di Federalberghi, che stima nel 5,4% la percentuale dei 10 milioni e mezzo di italiani che trascorreranno le feste di Natale all’estero: mezzo milione di volenterosi che supereranno i confini, ma - tolti gli sciatori, i gitanti di giornata e i ricongiungimenti familiari - quanti “veri” turisti (quelli che comprano un pacchetto, intendo) rimangono?! La tendenza resterà quella, in estate si volerà nelle isole greche, in Croazia, alle Baleari, sul Mar Rosso e in qualche destinazione “benedetta” dai corridoi, presenti e futuri: certo non è con Maldive, Seychelles e Mauritius che si salva la stagione dei t.o. lungo raggio.

Una volta al mare, quale sistemazione sceglieranno? Seconde case, Airbnb, alberghi e villaggi, in quest’ordine. Parlo per esperienza personale, avendo trascorso l’estate 2021 in una località marittima una volta in auge e negli ultimi anni abbandonata per le più modaiole Mykonos, Formentera e magari per il caicco o il 12 metri. Orde di proprietari di seconde case, forzatamente trattenute negli italici confini, hanno ripiegato sulla villa dei nonni, che non aprivano da anni: è stato un succedersi di cene in terrazzo, barbecue in giardino, riunioni di amici che non si vedevano da decenni, feste non autorizzate (le discoteche erano chiuse, ricordate?) di adolescenti in subbuglio ormonale. Un film di Gabriele Muccino, in pratica. Le seconde case saranno tutte aperte, e Airbnb farà un sacco di soldi con chi non ce l’ha.

Tra alberghi e villaggi, chi fa più soldi? Tutti e due, ovvio. Premesso che di hotel, in Italia, ce ne sono più di trentamila e non so quanti di essi siano al mare, ma una buona parte. Premesso altresì che quelli che chiamiamo “villaggi” comprendono tutto il portafoglio che va dal campeggio con animazione al resort 5 stelle in Costa Smeralda. Ecco, che siano alberghi o villaggi, quelli al mare saranno tutti pieni, soprattutto nei due mesi centrali. Certo, magari non a tappo tutte le settimane. Certo, magari non al prezzo richiesto tutti i giorni: ma quando chiedi 220 euro per una doppia, al sabato e in un agriturismo in Valtellina (colazione esclusa) quando nel 2019 ti accontentavi di meno della metà (colazione inclusa) ci sta qualche notte libera. Comunque, per chi ti mette un tetto sulla testa, la prossima estate, perdere soldi sarà un’impresa.

Ma chi ci mette più soldi di tutti? I fondi, ovviamente. Prendiamo tre affari immobiliari, tutti conclusisi a dicembre 2021: MF MilanoFinanza scrive che la famiglia Leali (quella di Air Dolomiti) ha ceduto il “wellness di lusso” Lefay Resort & Spa Lago di Garda a cdp cassa depositi e prestiti, nell’ambito del Fondo nazionale del turismo, con un’operazione di sale & lease back, per cui l’operatore mantiene la gestione del complesso e dispone di un’opzione al riacquisto dopo sette anni (valore della compravendita: 59 milioni di euro, corrispondenti a circa 634mila euro a camera).

Il fondo di investimenti iberico Azora,  attraverso il veicolo Azora European Hotel & Leisure, ha acquistato Bluserena SpA dalla famiglia Maresca: 13 hotel, di cui 8 di proprietà, oltre 4.200 camere, ripartite in 11 strutture 4 stelle e 2 resort mare 5 stelle, in Sardegna, Sicilia, Puglia, Calabria, Abruzzo e Piemonte. Valore della transazione: 280 milioni di euro (fonte: Il Sole 24Ore) che comprendono sia la gestione (il management è confermato, l’ex a.d. Silvio Maresca esce di scena) che le mura degli 8 villaggi di proprietà. 30 milioni vengono destinati al rinnovamento del portafoglio Bluserena.

Ancora Il Sole 24Ore, il 17 dicembre 2021, annuncia che Mangia’s Resort by the Sea – il nuovo brand alberghiero del Gruppo Aeroviaggi, proprietà della famiglia Mangia di Palermo – ha siglato un accordo di partnership con la società finanziaria newyorkese Blackstone, tramite la controllata iberica HIP Hotel Investment Partners, il più grande proprietario di resort nel sud Europa. Accordo che prevede la creazione di una newco, nella quale la famiglia Mangia mantiene la gestione di tutte le strutture alberghiere, la presidenza e un ruolo di azionista di riferimento. Nella società confluiscono 6 dei 13 resort della collection Mangia’s, tre in Sicilia e tre in Sardegna, per un totale di 1.900 camere. Circa 85 milioni di euro saranno investiti, nei prossimi anni, per valorizzare e riposizionare le strutture in capo alla newco, collocandole nella fascia dell’affordable luxury.

Tre investitori diversi, di tre nazionalità diverse, che investono in resort italiani, a ennesima riprova che il Bel Paese è una delle destinazioni turistiche mondiali con le migliori prospettive. A maggior ragione dopo due anni di pandemia.

 

toratora founder qtoratora logo qLa “formula roulette” fu inventata dai t.o. tedeschi negli anni ’80 del secolo scorso, quando compravano hotel in Costa del Sol un tanto al chilo: il cliente, rigorosamente in agenzia di viaggi, prenotava un pacchetto a Torremolinos e - in cambio di un sensibile sconto - andava a riempire i posti vuoti lasciati da coloro che avevano già prenotato; in quale hotel andasse a dormire lo scopriva addirittura sul posto, talvolta. Tanti decenni dopo, l’abusata dizione “formula roulette” è andata in soffitta, le agenzie di viaggi sono tagliate fuori e la romana Toratora si presenta come piattaforma di eCommerce che organizza “viaggi a sorpresa” (li chiama proprio così) con pacchetti volo + hotel di cui si conosce solo la data e il luogo di partenza fino alla settimana prima, quando viene comunicata la destinazione. Il pacchetto base costa 179 euro e comprende tre giorni e due notti in tutta Europa, volo incluso, ma può essere esteso a una o due settimane e toccare località di mare come Ibiza o Santorini (ovviamente a prezzi adeguati). Il cliente può scartare tre città europee (quelle dove è già stato) e profilandosi sul sito può far capire a Toratora che - avendo fatto l’Erasmus a Stoccolma - non è interessato alla Svezia. Il target di riferimento è evidentemente giovanile (18-35 anni) e - non a caso - su Instagram promuovono Toratora popolari influencer come Giorgia Soleri o Camihawke.

Toratora Srl è stata fondata nel 2018 dal CEO Francesco Simeone, dal digital manager Giuseppe De Lauri e dal chief technology officer Tiziano Ciotti, che ne detengono il controllo e una quota dell’azionariato pari al 75%. Dopo il “tutoraggio” iniziale di Lazio Innova (“società in house della Regione Lazio, partecipata al 19,50 % dalla Camera di Commercio di Roma, che opera nella progettazione e gestione di azioni per il sostegno all’innovazione”) un primo aumento di capitale, nel 2020, ha visto l’ingresso di altri tre soci al 25%. Contando oggi su una decina di dipendenti, a marzo 2022 Toratora ha partecipato al Travel Investor Day organizzato dall’Associazione Startup Turismo a Milano: cerca 1 milione di euro del quale il 35% destinato all’IT, il 45% al marketing e il 20% ai servizi. Cosa pensa l’autore di questa newsletter sulle startup turistiche è scritto qui, ma i colleghi di Toratora sono giovani e meritano un incoraggiamento.

 

startup image qQuesto post è contro le start-up nel turismo: lo dichiaro subito, così chi sia favorevole può smettere di leggere. Alla fine faccio un paragone con Twitter, che spiega molte cose.

“Le start up sono diventate un po’ di moda... dalle guide digitali alle app per la prenotazione via smartphone di aerei e alberghi, dalle piattaforme b2b per hotel ai sistemi di turismo ‘esperienziale’. Il problema è che la maggioranza delle start up, soprattutto quelle tecnologiche, naufragano: perché adottano business model sbagliati o non sufficientemente consistenti e quindi i loro business plan non sono credibili. Spesso, si tratta di progetti che funzionano solo a livello teorico, ma non sono business oriented: fra app free, no commissioni, modelli premium, viaggi gratis, dormi in casa di host, iscrizioni o altro, la domanda che mi tocca fare è sempre la stessa: dov’è il business?”. Sottoscriviamo al 100% queste annotazioni, che risalgono al 2016 (!) e appartengono a Josep Ejarque (!!), uno dei maggiori esperti in Europa di destination management e marketing.

Se quello che Ejarque scriveva era valido nel 2016, immaginate oggi, a quasi due anni dallo scoppio della più devastante crisi del nostro settore. Eppure chi crede nelle start up, e ci mette pure dei soldi, c’è ancora.

Dall’home-page di blinkoo: “Su blinkoo scopri nuovi posti da visitare e incredibili esperienze da vivere attraverso migliaia di brevi video condivisi da influencer, content creator professionisti e viaggiatori appassionati. Come funziona blinkoo? Guarda video che raccontano luoghi, esperienze, hotel, ristoranti e prodotti tipici di tutto il mondo | Salva i video tra i preferiti per utilizzarli come guida mentre sei in viaggio | Aggiungi i tuoi video per condividere la tua esperienza con gli altri viaggiatori”. In due parole: blinkoo si basa sulla condivisione di clip girati dagli utenti, postati sui social (i soliti, YouTube Instagram e l’ormai immancabile TikTok) oppure consigliati dai “migliori travel influencer”. Video che promuovono “migliaia di esperienze da vivere subito” (a oggi 4.463, scrivono) e che in qualche modo (ma non si spiega come) si potranno prenotare. Fin qui, nulla di rivoluzionario (e la domanda di Ejarque sorge spontanea: dov’è il business?).

Andiamo al sodo, citando ItaliaOggi del 25.11.2021: “blinkoo ha lanciato una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Backtowork e ha raccolto 716mila euro. La raccolta proseguirà per altri 45 giorni per raggiungere l’ambizioso obiettivo di 2milioni e 300mila euro. Smeraldo Meminay, fondatore dell’app già disponibile su Apple Store e Google Play, è un esperto del settore, l’idea di blinkoo nasce nel 2019 dall’esperienza precedente di Crush Travel: in due anni il team dedicato al progetto è cresciuto sino a comprendere 25 persone che lavorano allo sviluppo e alla promozione dell’app”. Se Meminay ti ha convinto, vai su blinkoo.com e “Partecipa alla campagna di crowdfunding”. Non ti fidi di ItaliaOggi? Leggi La Repubblica Viaggi.

 

Qualche riflessione, in ordine sparso:

  • non conosco Crush Travel, ma su Google non si trova e comunque non credo che faccia concorrenza a Expedia o Booking
  • l’unica start up italiana che ha funzionato, negli ultimi 10 anni, è Musement: magari me n’è sfuggita qualcuna, colpa mia
  • non capisco cosa possano fare 25 persone che lavorano tutte insieme su una app, se non smanettare selvaggiamente sui social e spiaccicare like e cuoricini a destra e a manca
  • a me paiono tanti già 716mila euro, 2milioni e 300mila sono una montagna di denaro: sarà un mio limite (io so di t.o., network e agenzie, ahimè), ma a che diavolo servono? A pagare i “migliori travel influencer”? A far apparire blinkoo tra i primi 10 risultati di Google quando digiti “viaggio”? A produrre una vagonata di tweet?

 

Ecco, a proposito di Twitter: in questi giorni esce di scena il suo fondatore Jack Dorsey, quello che nel 2013 fu protagonista dell’IPO sul NYSE, con le azioni che - collocate a 26 USD - salirono fino a 45 USD, dando a Twitter Inc. una valutazione di circa 31 miliardi (miliardi!) di dollari. Oggi il titolo Twitter vale quasi 46 dollari e Dorsey è al 190esimo posto, nella classifica dei multi-milionari secondo Forbes, con un patrimonio personale di 11,8 miliardi (miliardi!) di dollari.

Conclusione, che ovviamente vale per (quasi) tutte le start up turistiche e digitali, non solo blinkoo: facciamo che il solo, unico, immutabile modello di business è quotarsi in borsa e/o vendere la start up a qualcuno che la quoterà successivamente? E dopo, ottenuti i soldi, comprarsi un mega-yacht e trasferirsi ai Caraibi? Così magari, se sei fortunato, incontri Jack Dorsey e vi fate un drink.

P.S. su LinkedIn questo post è stato visualizzato quasi 4.000 volte e ha ottenuto decine di commenti (uno solo a favore delle start up, TUTTI gli altri dalla mia parte) quindi pubblico un aggiornamento, dedicato a un'altra start up, della quale si è occupato nientedimeno che il Corriere della Sera: trattasi di Offtryp, progetto di due giovani viaggiatori milanesi (ora tre) che - partendo dal presupposto che (cit.): “Troppe agenzie di viaggi sono costrette ad alzare i prezzi visto la decrescita della domanda, dovuta a una digitalizzazione povera e a un mancato adattamento al mercato di oggi” - hanno capito come si vendono viaggi on line. Offtryp funziona così: rispondi a una serie di domande (gusti, interessi, budget) e ricevi un preventivo, di due tipi: quello "base", che costa 6 euro e dove non puoi cambiare una virgola, ti arriva via email in 5 giorni; quello "pro", che invece di euro ne costa 35, dove puoi fare 5 (non di più) modifiche all'itinerario e ti arriva in 3 giorni. “Il tutto” recita il sito “interamente modificabile e prenotabile con un solo click”. Insomma, paghi per avere un preventivo. Che ti arriva minimo dopo 3 giorni. Il prossimo obbiettivo? chiede il Corriere al founder: “Chiudere un secondo round di investimento, per poter implementare al meglio la piattaforma ed espanderci il più possibile”. Ah ecco.