Chi è Roberto Gentile

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L’EDITORIALE DI ROBERTO GENTILE

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CHI VA E CHI VIENE

IL NETWORK DEL MESE

L’AGENZIA DEL MESE

whatsup 315 qA&T Comunicazione di Alessandra Agostini e Claudia Torresani. Mariolina Longoni Comunicazione. Ferdeghini Comunicazione. Vi dicono qualcosa questi nomi? Non credo molto, purtroppo. Nicolaus Valtur ed EGO Airways. Costa Crociere e Welcome Travel Group. ASTOI Confindustria Viaggi e Gattinoni. Questi nomi, invece, sono noti, e molto. Qual è la relazione tra la prima lista e la seconda? Semplice: A&T Comunicazione è l’ufficio stampa di Nicolaus Valtur ed EGO Airways. Mariolina Longoni segue da sempre Costa Crociere e Welcome. Sara Ferdeghini si occupa della comunicazione di ASTOI e Gattinoni. Da comunicatore, “non mi faccio capace” (come direbbe il commissario Montalbano) che il lavoro degli uffici stampa sia non solo misconosciuto, ma pure sottovalutato. Tempo fa, Luca Caraffini di Geo (ora Welcome Travel Store) spezzò una lancia a favore dei giornali di categoria: “Ci siamo dimenticati di mostrare la nostra vicinanza anche ai giornali turistici, che ci sono sempre serviti per far conoscere i nostri progetti e per avere tutte le novità del nostro settore”. Parole sante. Ma qual è la fonte dalla quale ricevere “tutte le novità del nostro settore” e soprattutto il mezzo per “far conoscere i progetti” di tour operator e croceristi, network e compagnie aeree, alberghi e destinazioni? Ovvio, l’ufficio stampa, ovvero quello che (Wikipedia dixit): “Diffonde notizie per conto di aziende, organizzazioni ed enti pubblici. La funzione di un ufficio stampa è prettamente giornalistica, pertanto non va confusa con l'attività di "relazioni con i media". Le note ufficiali redatte da un ufficio stampa sono chiamate comunicati stampa”. Ne consegue che, senza uffici stampa, non ci sarebbe comunicazione.

Perché il lavoro degli uffici stampa esterni (ovvero non integrati nell’azienda stessa) è misconosciuto e sottovalutato? Per quattro semplici ragioni:

1. È il brand del cliente, che conta: nulla deve fare ombra al marchio, alla visibilità, all’affermazione dell’impresa, del progetto, dell’iniziativa del cliente; il quale paga e ha diritto che il suo investimento renda al meglio. A fare pubblicità all’ufficio stampa ci pensano il passa-parola e il portfolio clienti.

2. É un’attività b2b, quindi sconosciuta al consumatore: chi conosce l’ufficio stampa di Amazon o di Mercedes o di Ferrero? Nessuno, ovviamente, ma senza quello dell’ultima azienda citata i Nutella Biscuits non avrebbero avuto il successo planetario che hanno riscosso. Per non fare torto a nessuno, cito un glorioso tour operator, per il quale l’ufficio stampa e comunicazione fece un lavoro sopraffino: Viaggi del Ventaglio, negli anni ’90.

3. La qualità non è percepibile al volo, bisogna essere del mestiere: chi è in grado di giudicare se un comunicato stampa è scritto in un buon italiano? E se la foto del Grande Imprenditore è ad alta risoluzione e ben definita, e non scattata col telefonino? E se un evento è promosso al momento e nel modo corretto, e non al momento e nel modo sbagliato? Solo gli addetti ai lavori, e talvolta neanche quelli. Peccato, perché le nottate passate a limare un lancio stampa, pesando ogni virgolettato e controllando punteggiatura e ortografia, non le riconosce nessuno.

4. Ci lavorano essenzialmente donne: tutti conoscono Rocco Casalino, ufficio stampa (ma anche PR manager) dell’ex premier Giuseppe Conte. Uno fornito di un ego grande quanto una casa, ovvero quello che Alessandra Agostini, Claudia Torresani, Mariolina Longoni e Sara Ferdeghini NON hanno. Perché (lo scrivo da anni) il nostro settore è maschilista e machista, e le professioniste devono sempre lavorare il doppio per affermarsi. Nella comunicazione sono indubitabilmente più brave dei colleghi maschi, e ne cito solo due, “lato aziende”: Isabella Maggi di Gattinoni e Sara Prontera di Nicolaus Valtur.

Un plauso a tutte le colleghe che nel turismo si occupano di uffici stampa e comunicazione, scusandomi per non poterle citare tutte. Lo meriterebbero, altroché.

 

whatsup 313 q“Network di agenzie? Contano solo quei cinque (o sei), il resto fa tappezzeria” scrivevo esattamente tre anni fa e oggi vale come allora. A maggior ragione dopo che quei sei son diventati cinque a marzo 2021, ovvero Welcome Travel Group, Gattinoni Mondo di Vacanze, Uvet Travel System, Bluvacanze e Robintur. Macro-aggregazioni erano già nel remoto 2013, lo sono nel 2021 e lo resteranno negli anni a venire. Ecco cinque capisaldi sui quali si baserà la distribuzione turistica del futuro, secondo l’opinabile idea dell’autore di queste note, che del tema si occupa dal 1999.

1) Le agenzie di viaggi ci sono oggi e ci saranno domani: non lo dico io, ma Franco Gattinoni"Il futuro è delle agenzie di viaggi, ne sono convinto: tra cinque anni noi ci saremo, la distribuzione ci sarà. Vedremo se e come ci saranno anche alcuni fornitori e gli altri pezzi della filiera". Esatto, le agenzie di viaggi italiane sono probabilmente il comparto più resiliente della filiera turistica: dovevano sparire all'avvento del web, ai tempi della new-economy, vent'anni fa; dovevano essere falcidiate dalla crisi economica post Lehman-Brothers, nel 2008/2009. Invece resisteranno anche alla pandemia 2020/21, perché il vacanziere italiano - nonostante Booking e TikTok - in agenzia continuerà ad andarci. Il tema è piuttosto QUANTE agenzie di viaggi saranno sul mercato, nel 2022: si stima che un 20% non riaprirà i battenti, il che significa che 6/6.500 agenti di viaggi rappresenteranno il territorio di caccia dei network.

2) Il modello di business delle reti va rivisto integralmente: fino al 2019, due erano le fonti di guadagno dei network: le fee delle agenzie affiliate e le over commission/bonus/premi riconosciuti dai fornitori a monte (t.o. in primis). Azzerate le prime e rimesse in discussione le seconde, difficile per i network mantenere strutture pesanti e costi fissi elevati. Oltre a una necessaria riorganizzazione e revisione dei capitoli di spesa, i rispettivi CEO dovranno chiarire - prima agli azionisti, poi al mercato - su quali basi produrranno utili. L’operazione Welcome / Geo (promossa dagli azionisti Alpitour e Costa Crociere) va appunto in questa direzione.

3) Due le formule vincenti: integrazione verticale o presidio orizzontale della filiera: la distinzione è ormai netta e consolidata, da un lato i gruppi integrati verticalmente (Welcome Travel Group, Bluvacanze e Robintur), dall’altro i retailer che si considerano “puri”, o quasi (Gattinoni Mondo di Vacanze e Uvet Travel System). I primi sono controllati da società complesse e con molteplici interessi (Gruppo Alpitour, Costa Crociere, MSC Crociere, Coop Alleanza 3.0); i secondi ancora in mano ai fondatori e azionisti di riferimento, rispettivamente Franco Gattinoni e Luca Patanè. Non c’è un migliore o un peggiore, c’è solo un diverso: i network “puri” affermano che le proprie scelte sono governate dal player successivo nella filiera, le agenzie; i “verticali” da chi sta sopra. Opinabile, in entrambi i casi. Ma le scelte strategiche non possono che divergere, e di molto.

4) L’associazione in partecipazione e il consulente di viaggi da casa: funzioneranno si / funzioneranno no: sugli home based travel agent esprimo riserve da molto tempo, più che altro perché la formula - nata negli USA e sbarcata in Italia ormai una ventina di anni fa - non ha mai letteralmente sfondato; i numeri che genera sono comunque modesti e la volatilità della clientela (infedele quanto e come per le web agencies) ineludibileL’associazione in partecipazione, che ha fatto la fortuna di brand specializzati come Bluvacanze e Last Minute Tour, pare tornata in auge“Nel modello 'Aip' il network si affianca al business dell'agente, permettendo una semplificazione degli adempimenti burocratici, amministrativi, informatici, di gestione privacy e del marketing per una maggiore concentrazione su clienti e vendite “ racconta Luca Caraffini, neo a.d. di Welcome Travel Store, in passato fondatore di Bravo Net e a.d. di Geo Travel Network. Vero, burocrazia e contabilità infastidiscono ogni agente di viaggi, ma la sensazione - magari errata - è che il passaggio all’aip (ovvero la cessione della licenza alla rete, detta brutalmente) sia spesso l’extrema ratio per tentarle tutte, prima di chiudere l’attività. 5) Nuovi prodotti, nuovi consumi per le agenzie del 2022: che il Mare Italia non faccia stare in piedi i bilanci di un’agenzia, e tanto meno di un network, è cosa risaputa. Lo si è visto nell'estate 2020, lo si rivedrà nella speculare estate 2021: il prodotto Italia è disintermediato per antonomasia, che si tratti di mare o montagna, case vacanza o agriturismi. Il business dei network sono i pacchetti, quindi il sempreverde Mar Rosso (quante agenzie, quante reti ci hanno campato sopra, per anni...) e il lungo-raggio. Del primo si riparlerà a breve, mentre per il secondo dovremo presumibilmente attendere il 2022. Quali nuovi prodotti, quali nuovi consumi potranno le reti proporre alle agenzie? Ne cito un po’ alla rinfusa: tour slow in treno, piccoli gruppi in destinazioni non mainstream, soggiorni in case di lusso e servizi concierge, crociere Covid free, south working e pure sail working. Alla rinfusa, perché puntare su uno o tutti questi prodotti è una scommessa. Per tutti, network e agenzie.

 

whatsup 311 qQuesto post ha un obiettivo ambizioso: spiegare, a chi si occupa di turismo, cosa convenga leggere e cosa no, sui quotidiani che sfogliamo tutti i giorni. Non quali testate considerare e quali ignorare (sarebbe un discorso politico, e io non mi occupo di politica), ma quali giornalisti/e e quali esperti val la pena tenere in conto, per capire meglio il nostro mondo (e non solo).

Con due necessarie premesse: in generale, le testate generaliste (ovvero quelle che troviamo in edicola o sul web) di turismo capiscono poco e scrivono male, perché il tema è complesso e soprattutto è soggetto a banali semplificazioni (meglio l’incoming dell’outgoing, di vacanze si scrive solo a Natale e ad agosto, la solita storia del 13% di PIL ecc.); secondo, citerò autori non necessariamente competenti, nel settore, ma che hanno le idee chiare e sanno esporle in bello stile.

Ecco quindi, secondo il mio personale, parziale e quindi opinabilissimo giudizio, chi val la pena leggere:

i grandi sapienti, Ernesto Galli della Loggia del Corriere della Sera e Lucio Caracciolo di Repubblica (e Limes): il primo è storico e accademico, il secondo uno dei massimi esperti di geopolitica in Italia. Sono quelli che sanno spiegare temi complessi con concetti comprensibili (non semplici, bisogna aver studiato): perché la scuola versa nello stato in cui è e il MiC (ex Mibac, ex Mibact) è ridotto così; perché il Medio-Oriente è una polveriera e non se ne verrà fuori per decenni; perché la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle che si sono sperimentate fino ad ora (cit. Winston Churchill).

I reporter di una volta, Domenico Quirico de La Stampa e Lorenzo Cremonesi del Corriere della Sera, Fausto Biloslavo del Giornale e Paolo Rumiz del Piccolo: sono quelli che in guerra ci vanno sul serio e scrivono sotto le bombe, rischiando la vita e spesso scampandola per caso (Quirico venne rapito in Siria, nel 2013, e liberato cinque mesi dopo). Sono gli eredi dei Robert Capa della seconda guerra mondiale o delle Oriana Fallaci del Vietnam: ci aiutano a capire come i conflitti descritti dai sapienti si trasformino in guerra, con lacrime e sangue. Anche in paesi (Libia, Libano, Iran, ex Birmania) dove si andava per vacanza.

I direttori partigiani, Marco Travaglio del Fatto Quotidiano e Vittorio Feltri fondatore di Libero, Claudio Cerasa del Foglio e Vittorio Sallusti del Giornale: scrivono da dio, hanno il dono della sintesi e soprattutto - frequentando salotti e talk-show televisivi, dai quali sapienti e reporter rifuggono - sono sempre sul pezzo. Ahimè sono percepiti, anche se non sempre lo sono, di parte, quindi su un tema divisivo (a caso, il nuovo Ministero del Turismo) possono scrivere tutto e il contrario di tutto.

I fustigatori della casta, Gian Antonio Stella del Corriere della Sera e Sergio Rizzo di Repubblica: la casta (1.200.000 copie, 22 edizioni, dal 2007 a oggi) l’hanno inventata loro, quindi chi meglio di Stella e Rizzo (la versione su carta della Gabanelli di Report) può menare fendenti sugli infiniti scandali italici? Nel turismo, parchi pubblici trasformati in aree edificabili; assessori che si lasciano comprare con un viaggio a Dubai; cubature alberghiere che si moltiplicano a ogni cambio di giunta comunale... Un cahier de doléances che non avrà mai fine, peggio con l’imminente arrivo dei miliardi del Recovery Fund.

I veri esperti di settore, Leonard Berberi del Corriere della Sera e Andrea Giuricin professore Uni Bicocca: ne cito solo due, in rappresentanza dei tanti che ognuno di noi legge, ma questi sono veramente dei fuoriclasse. Sanno soprattutto di compagnie aeree e mobilità, Berberi ne scrive sul CorriereGiuricin viene intervistato tutte le volte che Alitalia dev’essere rifondata da capo (quindi spesso). Perché proprio loro? Perché sono giovani, perché hanno studiato, perché maneggiano numeri e dati, perché sanno farsi capire e - soprattutto - non danno la colpa al Palazzo se le cose vanno male.

Le donne, le più toste di tutte, Agnese Pini, direttrice del quotidiano fiorentino La Nazione; Norma Rangeri, direttore responsabile de il Manifesto; Selvaggia Lucarelli, editorialista del Fatto Quotidiano: sanno scrivere, non le mandano a dire e hanno saputo imporsi, sicuramente con maggiori sforzi dei 14 colleghi citati sopra, perché il giornalismo italiano è maschilista quanto e più del turismo.

“La preghiera del mattino dell’uomo moderno è la lettura del giornale. Ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico” (cit. Friedrich Hegel). Buona lettura, quindi.

 

whatsup 312 qSulla base di un rischio di mortalità pari allo 0,13, un passeggero dovrebbe prendere un volo ogni giorno per 461 anni prima di subire un incidente con almeno una vittima a bordo. Ma di anni ne servirebbero 20.932 (il tempo trascorso dall’ultima glaciazione, in Europa) perché quel passeggero, sempre volando tutti i giorni, perda la vita.

Sono i sorprendenti risultati del "Safety Report 2020” redatto da IATA", che testimonia - per l’ennesima volta - come l’aereo sia il mezzo di trasporto più sicuro al mondo. 1000 volte più sicuro (stima del sottoscritto) che guidare un monopattino a Milano o a Roma, e 10mila volte meno rischioso che camminare su un marciapiede di Roma o di Milano ed essere falciati da un monopattino.

Aerei sempre più sicuri, quindi, anche nell’anno che passerà alla storia per la pandemia da Covid-19. Pandemia che ha drasticamente ridotto le operazioni di volo totali, crollate dai 45 milioni del 2019 ai 22 milioni nel 2020 (meno 53%). Con conseguente tracollo dei ricavi, visto che IATA stima per il trasporto aereo una perdita globale compresa tra i 75 e i 95 miliardi di dollari, per l’anno in corso.

Nel 2020 sono stati 38 gli incidenti aerei, con e senza vittime, e hanno causato 132 morti (erano stati 240 nel 2019). Ma la diminuzione più interessante è relativa agli incidenti fatali, solo cinque nel 2020 rispetto agli otto del 2019, con un tasso inferiore alla soglia di due incidenti per milione di voli. In particolare, il tasso di incidenti delle compagnie aeree membri IATA (circa 270) è stato di 0,83 per milione di voli, in miglioramento rispetto al valore medio degli ultimi cinque anni, pari a 0,96. Due dei cinque incidenti fatali si sono verificati in Africa, che detiene un altro non invidiabile primato, quelle delle compagnie aeree in black-list, ovvero che non possono volare in Europa, fonte ENAC.

Infine, il Safety Report 2020 certifica che per la prima volta in più di 15 anni non si sono verificati incidenti con perdita di controllo dell’aereo in volo (“loss of control-inflight”), modalità che genera il maggior numero di vittime (basti pensare alle tragedie dei Boeing 737 Max del 2019 e 2018).

Buone notizie, quindi. Soprattutto per chi frequenta gli aeroporti ed evita i marciapiedi.

 

whatsup 310 qQuesto NON è un post politico, ma ha lo scopo di spiegare perché il neo-rinato Ministero del Turismo, affidato al leghista Massimo Garavaglia, avrà vita difficile. 

Il “nostro” Ministero ha una lunga storia: istituito dal Governo Segni nel 1959, soppresso nel 1993 a seguito di referendum popolare promosso dalle regioni e appoggiato dai radicali, per vent’anni le sue funzioni vengono affidate ai dipartimenti del turismo e dello spettacolo, nell’ambito della Presidenza del Consiglio. Funzioni conferite - dal 2013 - al Mibact Ministero per i beni, attività culturali e turismo, salvo la breve parentesi del Governo Conte 1, quando il turismo viene incorporato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che diventa (luglio 2018 / settembre 2019) Mipaaft. Ecco l’elenco dei ministri, che dal 2006 a oggi, si sono assunti le deleghe per il turismo: Francesco Rutelli, Michela Vittoria Brambilla, Piero Gnudi, Massimo Bray, Dario Franceschini (più volte), Gian Marco Centinaio, Massimo Garavaglia. Sfido chiunque a citare qualcosa di epocale prodotto da uno di loro, a favore del settore.

Perché il Ministero del Turismo, sfilato al Mibac(t) e dotato finalmente di portafoglio, avrà un percorso in salita? Per tre semplici ragioni:

1) il titolo V della Costituzione: la riforma costituzionale del Titolo V (legge costituzionale n. 3/2001) ha reso il turismo una materia di competenza “esclusiva” per le Regioni ordinarie, alla stregua di quanto già previsto per le Regioni speciali (Val d’Aosta, Trentino Alto Adige ecc.); da allora il turismo rientra tra le materie “residuali” (sic - art.117, comma 4), in riferimento alle quali le Regioni non sono più soggette ai limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali. Tradotto, ogni Regione (quindi ogni Presidente, ogni Assessore) fa quello che gli pare, spesso in competizione con le altre Regioni, gli altri Presidenti, gli altri Assessori. Un esempio per tutti, lo racconta l’ex ministro leghista Centinaio a Il Foglio del 16.2.2021: “Quando ero al ministero volevo mettere mano alla classificazione alberghiera, per rivedere le modalità con cui si concedono le stelle agli hotel. Ma le Regioni hanno bloccato tutto, perché ognuna potesse continuare a decidere le modalità che preferisce”.

2) il Ministero del Turismo è una scatola mezza vuota (cit. Domani del 19.2.21): “I dipendenti in realtà sono appena una trentina, per lo più a un passo dalla pensione, spesso demotivati dai continui sballottamenti degli ultimi anni, tra un ministero e l’altro; le risorse sono modeste, una settantina di milioni di euro l’anno, da spartire oltretutto con l’Enit, che spende senza brillare, mentre i quattrini per gli investimenti turistici e gli incentivi passano dal Ministero dello Sviluppo Economico”. Ne consegue che un sottosegretario al Mise abbia più potere, nel deviare il flusso del multimiliardario Recovery Fund, del Ministro del Turismo.

3) il turismo in Italia è incoming, non outgoing: Mario Draghi dixit (al Senato, 17.2.21) “(Dovrà cambiare) il modello di turismo, un’attività che prima della pandemia rappresentava il 14% del totale delle nostre attività economiche. Imprese e lavoratori in quel settore vanno aiutati a uscire dal disastro creato dalla pandemia. Ma senza scordare che il nostro turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare, cioè almeno non sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive generazioni attraverso molti secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato”Da sempre, per la politica e le istituzioni il turismo italiano è Venezia e Capri, la Cappella Sistina e il Duomo, Dante e Raffaello. Appena insediatosi, il ministro Garavaglia ha rimarcato il messaggio: "Bisogna migliorare la nostra capacità di promozione, di attrazione, superando una situazione in cui Regioni e Comuni si muovono in ordine sparso”. Appunto.

Qualcuno s'è preso la briga di citare, tra coloro che "vanno aiutati", anche tour operator, network o agenzie di viaggi? Ovvero quei (disgraziati) che mandano turisti e soldi all’estero? "It’s not our business" rispondono al neonato Ministero, che lì l'inglese lo parlano.